Il rientro da Cuba è stato più traumatizzante di quanto avessi immaginato.
Sto male da una settimana, raffreddore, cali di voce, umore in picchiata, verso il basso! Sono tornata con un bel sorriso e dopo una settimana è tutto come prima. Lavoro, alle sei a casa con l’Uomo per un paio d’ore, ogni tanto da mia madre, sabato e domenica a casa, la sera cena davanti al televisione, aspettando che succeda qualcosa o che mi venga sonno e possa dormire fino all’indomani, per ricominciare.
Sono stanca. L’ho detto all’Uomo. Sono stanca. La sua risoluzione anteCuba si è affievolita, non sarei dovuta andare via, mi ha ripetuto, proprio in quel momento in cui era pronto a lasciare sua moglie e a venire a vivere con me. E’ iniziata di nuovo quella routine che mi strema. Due ore il pomeriggio, in attesa che lui si risolva. Vedere i giorni che scorrono via inesorabilmente, lasciando dietro poco e niente, una partita a carte, il te bevuto in cucina, un abbraccio davanti alla porta di casa e poi la solitudine.
Ero triste ieri sera. E’ andato via prima, prima che sua moglie si prodigasse in decine di telefonate, tutte senza risposta, che lo turbano, che mi ricordano, che io odio. Mi sono guardata attorno. Che faccio ora? Ho cucinato, sebbene non ne avessi voglia, le notizie al telegiornale, la doccia, un film visto e rivisto centinaia di volte, un romanzo di Nabokov e poi a letto. In silenzio, triste, in attesa, stanca.
La malavita che è ricominciata, il Natale alle porte, un compleanno, capodanno, dicembre, il mese più brutto è alle porte.