la collezione triste

per l’ennesima volta gli ho chiesto di passare la notte con me. per l’ennesima volta lui mi ha detto di no. un altro rifiuto nella mia bella collezione di no!

avrei dovuto immaginarlo, che devo dire, avevo la mente annebbiata dall’alcool? avevo voglia di trovare il letto caldo? avevo voglia di stringermi a lui? la sua voce mi era entrata in testa? vederlo sorridere mi aveva fatto ricordare altri tempi?

sono tornata a casa. se la mia vita fosse stata un film lui non sarebbe rimasto seduto in macchina, sarebbe sceso ed avrebbe suonato alla mia porta. lui è rimasto in macchina per un tempo indefinito. la mia vita non è un film e così è tornato a casa. io sono crollata a letto avvolta in un malumore che stenta ad andare via.

ma forse è stato meglio un altro no piuttosto che ricominciare con quell’antico logorio che mi svuotava del tutto. il malumore passa, resta la solitudine. alzo il volume dello stereo e canto, che mi passa!

Sabato mattina e io non so più niente…

Sabato mattina. Io non so da dove iniziare. Casa mia è invasa ancora dall’odore del soffritto di cipolla, cenere inavvertitamente sparsa a terra, vestiti buttati alla rinfusa sul letto, gli scuri alle finestre ben chiusi lasciano passare un pò di luce. Sono distesa obliqua nel letto, ho un letto grande in cui rotolarmi a piacere, non devo dividerlo con nessuno. Posso, se voglio, restare così per tutto il giorno, non ho impegni in fin dei conti.

Lui è stato qui stanotte. Mi ha aiutata a traslocare due librerie da casa di Marco a casa mia. Ha detto a sua moglie che sarebbe rimasto a vedere la partita dell’Italia da un collega. Voleva portarmi a cena fuori e assecondare un mio desiderio espresso solo poche ore prima. Mi spaventa, non voglio andare in nessun ristorante con lui, non riesco ad ignorare il nostro stato di clandestini. All’improvviso sono diventata estremamente razionale, lo riporto con i piedi per terra, restiamo a  cena a casa mia, qualcosa da mangiare la troviamo. Formaggio, pizza secca, olive e un piatto di verdure al vapore e saltate in padella, una bottiglia di vino. Mi sento estremamente legata, eppure sono a casa mia, dovrei stare bene. C’è qualcosa che mi trattiene e non so bene cosa sia, non so se sia la sua presenza, la sua determinazione, i sentimenti che prova, i dubbi che fanno sorgere in me, le esperienze passate, la consapevolezza…la consapevolezza.

Le undici passate e ci infiliamo sotto il piumone, nudi e un pò infreddoliti. Una mano intimidita dal freddo esce fuori per riprendere la sigaretta appoggiata al posacenere, lui mi abbraccia e mi parla ancora. Abbiamo fatto l’amore stanotte. Ed era un bella sensazione tenerlo dentro di me, sentirlo fremere mentre lo baciavo, guardarlo così da vicino. Come se la cosa più importante fosse farlo stare bene, solo questo, perchè i miei desideri erano improvvisamente scomparsi, e all’improvviso fossi estranea a me stessa e non sapessi più chi sono, cosa voglio, cos’è giusto e cos’è sbagliato, che vita è questa io non lo so.

Così stamattina alla sua domanda: come stai, ho saputo solo rispondere con un banalissimo e spaventoso: normale. Mi sento un mostro. Non so cosa provo, ho paura dei suoi sentimenti, mi sento arida, non sono pronta ad affrontare tutto di nuovo, non so se voglio affrontare tutto di nuovo, non so più se voglio davvero un figlio, non so se potrei stare bene con un uomo accanto, non so se sono pronta a limitare la mia libertà. Io non so più niente.

La mia prima cena

Venerdì mi sono fatta coraggio, ho alzato il telefono, ho composto il numero dell’interno di Alessandro e l’ho invitato a cena sabato sera. E’ inutile, mi sono detta, restare sempre da sola, e anche se lui è stato soprannominato il muto, riesce comunque ad essere una compagnia piacevole, quando parla!

Il primo invito a cena. Non sono una gran cuoca, mi diletto, preferisco preparare dolci e insalate, aperitivi e comporre piatti di formaggio, olive e pomodori secchi. Ma non posso esordire così. Penso a cosa potrei preparare. Scendo al supermercato. Scaffali tristi, luce al neon, signore col carrello, liste di spesa, Mamma me lo compri, il banco della salumeria preso d’assalto. Fuori piove e io non so cosa preparare!

Rubo una ricetta ben riuscita a mia sorella: pollo al curry, abbino involtini di prosciutto, philadelphia, basilico, mandorle e curry, carote e zucchine soffritte con la cipolla. Non male, certamente è dignitosa come cena, soprattutto considerando la quasi totale assenza della maggior parte degli utensili da cucina…provvederò presto!

Cena andata bene, siamo rimastia  chiaccherare fino all’una. Stamattina sono stata accolta dall’odore persistente del curry, i piatti nel lavello, il piano cottura macchiato, la tovaglia ancora sul tavolo. Ho bevuto un bicchiere d’acqua e sono tornata a letto. Guardavo l’altra piazza vuota. Ho pensato a ieri, la mia prima cena avrei voluta prepararla per Classe ’61, ma non me ne ha dato il tempo. Osservavo nella penombra della mia stanza il suo profilo, le sue labbra. Mi sono accarezzata il viso, sforzandomi di ricordare se lui lo abbia fatto mai.

Classe ’61, il sesso ed io

Ieri sera è venuto a prendermi dopo la visita guidata alla mostra Burri&Fontana. L’ho invitato a salire, magari Irene ci fa fare un giro veloce, ma il suo no è stato laconico, immediato e senza via di scampo. Ho sceso le scale di un palazzo principesco velocemente per raggiungerlo in strada. Mi ricordo che Walter odiava aspettarmi sotto casa!

Ha il viso tirato, nervoso, avaro di sorrisi finchè ci sediamo a tavola, portano il vino e mi fa uno schizzo sul retro della tovaglietta di carta della sua futura casa. Lo guardo quasi in adorazione, ma è solo la felicità di vederlo sereno. Aveva altri due impegni stasera, uno di lavoro, l’altro un invito a cena a casa di amici. Ha disdetto entrambi per stare con me, ma a me non basta, lo vorrei sereno, senza i problemi. Beh, allora noi due pootremmo uscire forse una volta l’anno, mi dice quasi sorridendo!

Dopo cena lottiamo per pagare il conto, a me la mancia! Mi chiede di restare a dormire con lui, ma rifiuto l’invito, domattina lo aspetta l’impegno di lavoro che ha bipassato stasera e odierei segliarmi in un letto vuoto o tutt’al più svegliarmi alle sette di domenica mattina mentre lui si riveste e va via.

Salgo sulla mia macchina e lo seguo fino a casa sua, una sigaretta in bocca, Baustelle in sottofondo e pensieri che mi seguono veloci, si riflettono sul guardrail, ma resto concentrata sulla sagoma della sua macchina.

Non ho neanche il tempo di entrare a casa che comincia a spogliarmi. Il letto non sembra più tanto freddo come qualche mese fa, il suo corpo non mi è estraneo, il mio lo tengo avvolto leggermente dal lenzuolo che lui cerca di allontanare con i piedi, le sue dita si fanno timidamente largo dentro di me, lo riempio di umidi baci e lo prendo dentro di me. Ma tutto questo non dura. Come accade ultimante io mi fermo. Lui riapre gli occhi e mi guarda. Non mi chiede neanche cosa sia successo.

Restiamo così.

Riprende a parlare, con una naturalezza che ha dell’agghiacciante, come se fosse normale…certo, ammette che una cosa così gli è capitata solo con me, che forse è perchè è stanco, che con le altre durava da un minimo di pochi minuti fino ad altre prestazioni più lodevoli, che non si spiega come sia possibile che con me sia venuto solo tre o quattro volte. Lo ascolto sempre più sprofondata nel letto, che i pensieri che scacciavo prima in macchina erano solo una strana forma di ansia da prestazione tutta al femminile…

Meglio rivestirci ed andare, tu domani puoi dormire fino a tardi, io devo svegliarmi e tra un quarto d’ora sarò a letto. Non vorrei andare via. Vorrei fare l’amore con lui, ma so che è un rimorso, che mi sento in difetto, che gli sono indifferente, che non prova nulla, che è quasi come Walter. Anche per lui se ci sono o no non fa alcuna differenza.

Salita in macchina ho visto la sua allontanarsi. Ho alzato il piede dall’accelleratore. Ho attraversato la polvere che aveva sollevato. Gli ho detto piano buona notte e al bivio ho ripreso la mia strada.

Il Signor Ni

Il Signor Ni si chiama così perchè alla mia domanda: sei innamorato di questa ragazza, ha risposto con un laconico ni che lasciava desumere un ben più difficile da pronunciare no!

Il Signor Ni non ha avuto l’insistenza del ragazzo dei fiori, ma la sua presenza è stata certo costante in questi due giorni, mail in ufficio e messaggi di sera.

Il Signor Ni e io ieri sera abbiamo cenato insieme a casa sua, abbiamo bevuto due bottiglie di vino rosso, abbiamo fatto quello che di solito si fa al secondo appuntamento; ci siamo studiati. Non ho praticamenmte fumato per tutta la durata della cena e solo quando abbiamo finito l’ho costretto ad uscirte in balcone per la mia prima sigaretta della serata. Un bicchiere di vino in mano, l’altra occupata con la sigaretta. Chiacchieriamo io e il Signor Ni, ma lui si avvicina sempre più, e io me ne accorgo, ma non ho davvero dove cercare una ritirata. Forse non la voglio ceracre neanche, perchè lascio che mi si avvicini ancora e che mi baci.

Mi precede a letto, io passo dal bagno. Faccio pipì non ricordo che altro, mi sarò guardata allo specchio come ogni volta che so di star combinando un’altra cazzata ed esco, almeno ci provo, si perchè non riesco ad aprire la porta! Credo di aver lottato per almeno cinque miniuti buoni, mentre tra gli sforzo mi guardavo imbarazzata allo specchio!

Salgo e lo trovo a letto. Mi guarda, mi avvicina di nuovo, mi bacia ovunque, mi toglie i vestiti, lo faccio anch’io mentre sento che geme sotto i miei baci, quando lo tocco, sento che prova piacere e, ad essere sincera, altrettanto piacere provo io! Facciamo l’amore, o forse solo del buon sesso e finiamo stanchi sul letto, fino ad addormentarci, come due estranei, io mi volto dall’altra parte, ma solo per riposare.

Le 3:15, mi sveglio all’improvviso, la bocca asciutta. Lo guardo mentre dorme e sento il suo respiro pesante, eufemismo, dato che russava! Cerco i miei vestiti. Lo giardo ancpora, non so se svegliarlo o meno. Scendo sotto e vedo, invitante il cellulare, quello che guardava impaziente la prima sera che abbiamo trascorso insieme. Lo so bene che è una violazione della privacy, ma l’ho ugualmente preso e dato un’occhiata ai messaggi. Nulla di male trovarne alcuni di una certa TiZI che dichiara il suo amore, terribile leggere solo l’incipit di altri, di altre donne che hanno certe idee strane su cosa vorrebero fargli, desideri di altri incontri, passione di altre donne che mi colpisce con una bella doccia fredda.

Abbandono il Sihgnor Ni nel suo letto addormentato, e chiudo la porta alle mie spalle. Scendo di corsa e di corsa entro in macchina, un’altra sigaretta accesa mentre scorrone veloci le parole appena lette, i miei pensieri su me stessa, su quanto io sia stata ancora una volta una sciocca a non capire, a farmi scopare da un altro che pare si diverta a conquistare le donne.

E’ di certo un problema, ma a me piacciono quelli che sono bastardi nel DNA!

Ipocrisia

Maledetta ipocrisa familiare in cui sono intrappolata. Combatto, oggi più che mai, con l’amore e l’odio verso i miei genitori, le menzogne, il fottuto perbenismo borghese, il loro giocare a nascondino, le chiacchere, le uscite con gli amici, la nausea che mi provoca vederli seduti allo stesso tavolo, addormentati nello stesso letto, fianco a fianco, quando sanno, quando so, che è tutto falso. Cazzo ci vorrebbe solo un pò di coraggio ed ammettere il fallimento, la fine dell’amore o qualsiasi cosa sia che ci ha portati tutti a questo punto. Lotto con il desiderio di andare via e il pensiero di loro due da soli, mia madre soprattutto che, temo, sappia tutto, ma che si trincera dietro un silenzio profondo che non so scuotere, che non voglio scuotere. Volto le spalle ad entrambi, sdegnata, eppure non riesco ad odiarli, non posso, dovrei?

Corro

Corro, corro sul lungomare, la musica a palla nelle orecchie. Corro veloce, corro e sento il mio respiro affannato. Butto l’aria con la bocca, non ce la faccio ad arrivere fino alla fine, ma devo, lo voglio fare, voglio stremarmi, tornare a casa e non avere più forze residue, buttarmi sotto al doccia, mangiare qualcosa e crollare a letto fino a domattina. Corro e canto in mente le canzoni degli Interpol, i pugni chiusi stretti, perchè sono triste. Corro e dimentico le lacrime di un’ora fa in macchina, lacrime per me, per non poter esaudire i miei desideri, desideri sempre sbagliati! Corro e non penso. Corro, gli occhi che incrociano quegli degli altri, sguardi che non sostenmgo mai, preferisco guardare il mare. Corro e arrivo alla mai meta, la fine del lungomare. Rallento il passo, si calma il respiro. Faccio un pò di esercizi, stretching soprattutto. Guardo le macchine che passano, dall’altro lato della corsia c’è una fila, famiglie, uomini, coppie, vecchietti, donne sole, amiche, sale la tristezza, la malinconia. Faccio esercizi, i Killers e il loro sound anni 80, mi piacciono. Alzo lo sguardo, passa un ragazzo, lo guardo da dietro…è lui! Cazzo è Luca, il Supremo…mi paralizzo, non respiro, perchè ho la piena consapevolezza che non può essere lui, io vorrei non fosse così, io vorrei e non vorrei. Lo guardo, torna indietro, non è lui e io, come una sciocca, comincio a piangere. Incontrollabili le lacrime scendono, so che non dovrei, che faccio la figura della pazza depressa. Dò le spalle alla strada, guardo il mare e piango, A Strange Education dei Cinematics, quella con cui mi sono svegliata quest’estate accanto a lui, nel mio letto, quando pensavo che non sarebbe mai arrivato il futuro, quando credevo sarebbe durato in eterno. Non può essere, mi ripeto, nel vano tentativo di calmarmi. Non posso essere ancora così legata a lui, al suo ricordo, non posso ancora desiderarlo dopo tutto quello che è successo, non può essere così, perchè non riesco ad andare avanti, perchè?!? Corrono veloci le persone e mi superano, sento l’aria che spostano, mentre il mio sguardo è fisso nel vuoto, la mente è corsa veloce da lui e io non so riportarla indietro.